Tradizioni natalizie: sin dalla notte dei tempi, il Solstizio d’Inverno ha costituito per l’uomo un momento speciale
A partire dal 21esimo giorno di dicembre, infatti, il Sole termina la propria discesa rispetto all’equatore celeste. Le giornate tornano lentamente ad allungarsi e il mondo animale e vegetale viene a poco a poco risvegliato. Un istante magico, a cui rendere omaggio, da festeggiare. La Rinascita del Sole, così era chiamata un’antica festività romana che cadeva il 25 dicembre e che il Concilio di Nicea del 325 d.C. cristianizzò nel Natale e nelle tradizioni natalizie.
Protagoniste di tutti i festeggiamenti e delle tradizioni natalizie, pagani e religiosi, sono da sempre le piante. Su tutte, l’abete, bianco o rosso, forse più noto proprio con il nome di albero di Natale. La sua è una tradizione millenaria.
Nell’antico Egitto
Era chiamato l’albero della Natività e sotto i suoi rami nasceva il dio Osiride. In Grecia era consacrato ad Artemide, dea della Luna, protettrice delle nascite e il suo nome greco, elàte, era quello della dea della Luna nuova, portatrice di rinnovamento e di buon augurio. Moltissime tradizioni relative all’abete si trovano poi fra le popolazioni celtiche e germaniche.
Nel calendario celtico, l’abete è consacrato al giorno in cui si celebra la nascita del Fanciullo divino, che segue il Solstizio d’Inverno. Fin dal Medioevo, nei paesi nordici, si tagliava un abete e decorarlo, in casa, con dolci e ghirlande. Sotto i suoi rami addobbati si festeggiava la notte del solstizio. Il nostro albero di Natale comparirà solo all’inizio del ventesimo secolo.
Nelle campagne italiane
Più antica e molto più diffusa, la tradizione del ceppo o ciocco natalizio. Il “metter ceppo”, cioè bruciare nel camino un pezzo di legno, spesso di quercia, molto grosso e resistente, serviva per “scaldare il Bambin Gesù”. Bruciare il ceppo portava fortuna, a patto che il fuoco durasse tutta la notte senza che il legno si consumasse del tutto, perché andava riacceso ogni sera, fino all’Epifania. I suoi resti si sotterravano in campagna, per preservare i raccolti, o venivano conservati perché scongiurassero le tempeste.
Fra le piante-amuleto contro le disgrazie, famoso è il vischio: appeso alle porte delle case o tenuto al collo durante le feste natalizie. D’obbligo era il bacio sotto il vischio: se una ragazza non ne riceveva uno si diceva che non si sarebbe sposata per un anno intero. Tuttavia, se raccolto con le mani, specie la sinistra, il vischio portava guai e malasorte. Per questo lo si faceva cadere dai rami colpendolo con un bastone o con una freccia, per afferrarlo al volo prima che toccasse terra.
I Celti
Queste tradizioni arrivano dai Celti che ritenevano questa pianticella, senza radici e parassita sui rami di altre piante, un dono degli dei, favoleggiando che nascesse dove era caduta la folgore, simbolo della discesa della divinità. È l’unica pianta che può uccidere l’invincibile Baldr, figlio di Odino, il migliore fra gli Asi della mitologia vichinga. Ma di vischio è anche il “ramo d’oro” con cui Enea, racconta Virgilio, placa l’ira del barcaiolo e si apre la via per gli Inferi.
Per il suo legame col mondo pagano, la Chiesa all’inizio lo rifiutò, anzi lo disse maledetto, perché fornì il legno per la croce quando ancora era una pianta normale.
Rosa di Natale
Il significato dei fiori della rosa di Natale, candidi e dalle antere dorate, che sbocciano proprio da dicembre, evocativi dell’alba e dell’oro del sole nuovo. Una leggenda cristiana narra che quando i Magi arrivarono alla grotta di Betlemme, carichi di doni preziosi, furono visti da una pastorella che, non avendo nulla da offrire, si disperò e pianse, ma subito fra la neve sbocciarono fiori bianchi e d’oro, le rose di Natale, che lei poté donare a Gesù.
Anche regalare la pianta della stella di Natale è considerato di buon augurio. È un’usanza piuttosto recente, iniziata solo nel secolo scorso, e dovuta al colore rosso intenso che a dicembre assumono le sue brattee, le foglie modificate che come vessilli purpurei incorniciano i piccoli fiori. Di buon auspicio, sempre per i loro colori, sono poi il corbezzolo, arbusto mediterraneo dai fiori bianchi a campanula e dalle rosse bacche rugose, e il sorbo degli uccellatori, chiamato non a caso “aurora dell’anno”.
Quest’ultimo, nel calendario arboreo dei Celti, dava nome al mese compreso fra la fine di gennaio e metà febbraio, nel quale si festeggiava il periodo in cui il sole ricomincia a scaldare la terra. Gli venivano attribuiti poteri magici: i suoi frutti, nutrimento degli dei, erano amuleti contro il male; il suo legno, protettore del bestiame, veniva bruciato prima di ogni battaglia per propiziare gli spiriti.