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Intervista a Pinuccio Sciola: “Riscopriamo il verbo Amare”

Pubblichiamo oggi un’intervista realizzata nell’estate del 2012 con lo scultore sardo Pinuccio Sciola. Vogliamo celebrare in questo modo il compleanno dell’artista sardo, che oggi avrebbe compiuto 78 anni.

Ricordiamo Pinuccio Sciola, che oggi avrebbe compiuto 78 anni.

Mercoledi 18 luglio 2012, pomeriggio di mezza estate in Sardegna, guido da Cagliari a San Sperate sfidando l’asfalto fumante della statale 131 arroventata dal sole. Le casse dell’autoradio vaporizzano il jazz nell’abitacolo. In qualche minuto arrivo a ‘Santu Sparau’, la patria delle pesche, e ad annunciarlo sono proprio le grosse sculture che le riproducono all’ingresso del paese. Guidare per le strade di San Sperate è un’esperienza unica e vorrei continuare a perdermi per queste vie e ammirare i murales, le sculture e l’arte custodita in ogni angolo di questo Paese Museo. La destinazione è via Marongiu ed in poco tempo la raggiungo parcheggiando all’interno di una casa campidanese il cui portone è sempre pronto ad abbracciare chiunque passi nelle vicinanze. Scendo dall’auto, inspiro profondamente e tutto intorno a me profuma d’arte. La natura sgorga da ogni spazio, sapientemente intessuta tra le pietre e le sculture che arredano il cortile. 

Mi viene incontro il padrone di casa, Pinuccio Sciola, camicia azzurra comodamente sbottonata, pantaloni scuri, rigorosamente scalzo. Il profondo rapporto con la sua terra Pinuccio lo vive attraverso ogni parola, ogni gesto, ogni suo comportamento e ha bisogno di sentirla, toccarla con i suoi piedi, di accarezzarla con le sue mani, la sua terra, facendole cantare le melodie che per milioni di anni sono rimaste imprigionate nei suoi calcari e nei suoi basalti. Ci accomodiamo su una panchina e, accompagnandoci con delle pesche più dolci dello zucchero, con fette di melone e acqua fresca, iniziamo a chiacchierare.

Mi farebbe piacere che questa chiacchierata partisse proprio da Lollove, il più piccolo paese della Sardegna e forse del mondo. Cosa risveglia nella tua memoria litica?

La prima immagine che mi viene alla mente parlando di Lollove è quella di una fotografia di Nanni Pes che immortala un bambino che guarda un vitello appena ammazzato in occasione di una festa a Lollove cinquant’anni or sono, in cui erano presenti tutti gli abitanti del paese . Ho nella mente l’immagine fervida  di questo bambino che guardava con curiosità culturale il  vitello appena sacrificato allo scopo di sfamare  l’intera comunità. Lollove è impresso nella mia mente come paese simbolo del rapporto ancestrale tra l’uomo, l’animale e la natura e ancora sopravvive nonostante anche cinquant’anni fa fosse facile prevederne l’estinzione.

Cosa è rimasto oggi del rapporto tra i giovani e le tradizioni della Sardegna?

Il rapporto tra giovani e tradizione, tra giovani e natura sta oramai scomparendo, ma ritengo fondamentale affermare che è la terra che, nonostante tutto, continua a sfamarci. Il fatto che la tecnologia si stia espandendo sempre maggiormente, ci spinge a volere e desiderare solo e soltanto quello che ci viene proposto dalla televisione e questa ci mostra la terra solo nei documentari o addirittura nei servizi che parlano della preistoria. Comprendo il profondo disagio che prova un giovane in questo delicato momento storico. Il problema delle nuove generazioni è che nessun giovane ha mai dovuto realmente impegnarsi per ‘trovare’ da mangiare. Tutti cercano lo stipendio, non il lavoro. Appena si viene assunti in un posto di lavoro, la prima frase che si impara e si ripete come un mantra è ‘non è mia competenza’. Purtroppo negli ultimi 15 anni tutti hanno vissuto ampiamente al di sopra di qualsiasi possibilità. In ogni famiglia, se il reddito mensile era di mille euro, se ne spendevano tremila. Il consumismo dilaga e nessuno fa nulla per frenarlo. Ho sentito una signora lamentarsi perché si trovava costretta ad andare a far la spesa al discount, come se questo costituisse un’offesa o un declassamento.

Oramai la parola ‘crisi’ è sulla bocca di tutti e ritengo che il suo uso sia ampiamente abusato. Cosa è la crisi secondo te?

Questo è un aspetto su cui, secondo me, c’è fin troppa confusione. Le differenze sociali ci sono sempre state, a partire da Adamo ed Eva, da Caino e Abele. Tutti aspettano che siano gli altri a organizzare la vita, in Sardegna ci sono dei ragazzi meravigliosi, delle intelligenze creative straordinarie, ma questo non è sufficiente:  ritengo che il primo grande passo da fare sia quello di ristabilire un profondo e primordiale rapporto con la natura. La terra è abbandonata, non viene coltivata. Noi mangiamo e sprechiamo quello che oramai ci viene importato ed è questo il motivo per cui hanno attecchito i centri commerciali che di autoctono non hanno più nulla. Il problema è che i sardi fondamentalmente non hanno più voglia di coltivare. La terra ti da’ tutto, basta ristabilire un rapporto con questa, lavorarla e soprattutto inchinarsi a raccoglierne i frutti. Non c’è più questa cultura, si è abituati ad avere tutto senza sporcarsi più le mani.

Il rapporto con la natura ha bisogno di solide basi che vanno create.

Certo, non abbiamo cura della terra perché manca un’educazione in merito. Un percorso educativo dovrebbe partire dalle scuole inferiori e continuare nel tempo accompagnando la formazione di un giovane, ma queste cose le sappiamo ampiamente. Il sardo non ha cura della sua terra, delle spiagge che a fine giornata sono vere e proprie discariche. In spiaggia non si dovrebbe innanzi tutto fumare. Anni fa sembrava impossibile non poter fumare nei locali chiusi, oggi tutti ci siamo abituati a questo e per i fumatori non è più un problema. L’educazione al rispetto deve sensibilizzare e abituare le persone, ci vogliono delle leggi effettive e dei vigili pronti a multare i trasgressori. Ma non c’è da prendersela solo con i politici, siamo noi che dobbiamo riscoprire il significato del verbo amare. Amarci e rispettarci gli uni con gli altri. Amare e rispettare la nostra terra. Ricordo un’imprecazione velenosa che si soleva dire anni fa per ‘augurare’ problemi a una persona. Si diceva: ti auguro che ti eleggano sindaco. Il sindaco ha la responsabilità di  tutto, anche delle stupidaggini.

Come promuovere la Sardegna?

La nostra isola potrebbe dar da mangiare non a un milione e seicentomila abitanti e altrettante pecore, ma potrebbe sfamare diversi  milioni di persone e bestie. La Sardegna è un territorio oramai desertico in cui ci si è dimenticati dell’agricoltura e soprattutto non si è in grado di comprendere cosa sia il turismo. Il periodo turistico in Sardegna, senza adeguata promozione, si sta riducendo al solo agosto, un mese all’anno, e in questo mese non ci si può permettere di ‘spennare’ chiunque frequenti l’isola, compresi gli indigeni. Nessuno sorride più, soprattutto ai turisti. Siamo bravi specialmente a protestare e ogni giorno di fronte al palazzo della Regione le folle si sprecano spinte dalle più svariate ragioni. Quello che mi chiedo è se queste persone posseggano un pezzettino di terra da coltivare. Credo che molti abbiano almeno un piccolo fazzoletto di terra ma non ci coltivino, per esempio, le patate, andandosele a comprare al supermercato. Questa crisi dovrebbe arrivare a una drasticità che porti a ristabilire un rapporto profondo e onesto con la terra. Mio padre diceva sempre che tutto quello che mangiano gli animali lo possiamo mangiare anche noi. Invece si continua a comprare abiti superflui, si va spesso in ristorante e si compra una marea di beni inessenziali. A nessuno viene in mente di piantare aglio o prezzemolo in un semplice vaso.Ci siamo resi conto che sul mercato oramai si trova solo aglio cinese? Basterebbe coltivarlo in un piccolo vaso, che tra l’altro abbellirebbe anche la finestra. Anche il granito ce lo portano dalla Cina già lavorato e costa meno di un terzo di quello di Buddusò. Costa poco perché prodotto da schiavi e noi comprandolo non facciamo altro che assecondare questa situazione di sfruttamento .  Ho visto come si lavora nelle cave cinesi. Fanno quasi tutto le donne che sollevano masselli di granito che qui fatichiamo a sollevare in tre persone. Donne pagate con un semplice pugno di riso. La Cina calpesta i diritti e sottopaga gli operai e noi acquistando quel granito assecondiamo le loro politiche. Poi andiamo a protestare contro la schiavitù. In Italia abbiamo eccessi al contrario e i sindacati difendono chi ha un lavoro e non tutelano chi non ce l’ha.

Cosa ti senti di dire ai giovani che ti stanno leggendo in questo momento?

Voi giovani dovete darvi una mossa. Abbiamo terreni non coltivati, un patrimonio ovino come pochi. Io viaggio spesso e, per fare un esempio, mi è capitato spesso di viaggiare in treno nel Veneto e notare il paesaggio. Ecco: non ho trovato un solo metro quadro non coltivato, dalla frutta, alle erbe mediche o semplice foraggio. La Sardegna è diventata un deserto e la colpa è solo nostra. Ce la prendiamo solo con i politici ma la colpa è nostra. Altro aspetto che tengo a sottolineare è che la Sardegna non è conosciuta nel mondo. Un sardo che cercava di vendere prodotti Doc isolani negli Stati Uniti, per far capire al suo interlocutore dove fosse la Sardegna, ha dovuto dire che è l’isola vicina alla Corsica. La Francia promuove e fa conoscere la sua isola. Non dobbiamo prendercela soltanto con i politici. La gente non ha più neanche la voglia di arrabbiarsi, ognuno vive nel suo piccolo habitat e su questo si adagia. Bisogna ritrovare quella rabbia positiva che risveglia le persone e le porta a volere il cambiamento.

Crescere e migliorare, partendo da cosa?

Il sardo dovrebbe crescere liberandosi prima di tutto della sua profonda superbia. Dobbiamo guardare oltre e conoscere il mondo che ci circonda, liberarci dalla presunzione che ci porta a pensare che tutto quello che è sardo sia migliore del resto. Bisogna viaggiare tanto e tornare ricchi di culture ed esperienze e saper fare tesoro dei patrimoni acquisiti, per crescere e far crescere la nostra terra.  Nella mia vita ho viaggiato tanto e sono sempre stato convinto che si debba andare per il mondo senza inibizioni e senza presunzioni. Se uno eccede nell’uno o nell’altro aspetto, è già fuori strada. Quello che non sai cerca di impararlo, quello che sai proponilo e scambialo. Confrontarsi è molto importante. Io non sono Sciola perché sono sardo, io sono nato in Sardegna, una terra che non deve essere necessariamente migliore delle altre. E’ una terra che ha caratteristiche diverse indubbiamente, e abbiamo patrimoni che non siamo capaci di valorizzare. La cultura nuragica, che è la cultura arcaica della Sardegna, è un patrimonio da tutelare e valorizzare, ma non nego che i paesaggi che ci sono, per esempio, in Alto Adige, Trentino o in Puglia siano altrettanto meravigliosi. La Sardegna confina con il mare, quindi con il mondo. Un’onda che sbatte su uno scoglio sardo sbatterà su uno scoglio situato dall’altra parte del pianeta. L’insularità è un valore immenso che ci da’ un’identità specifica. Non siamo massificati come in altre regioni. Molti invece vivono l’insularità come una condanna. Ma chi vuole viaggiare può viaggiare e andare oramai dove vuole. Io addirittura ‘obbligherei’ i giovani a viaggiare per conoscere il mondo, senza inibizioni e senza presunzioni.

Simone Cavagnino

Fondazione Pinuccio Sciola

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About Simone Cavagnino

Giornalista, autore e conduttore. Dopo la maturità scientifica, compie studi giuridici e si occupa di giornalismo musicale. Ha collaborato con l'emittente televisiva Infochannel Tv Sardinia, con magazine nazionali e quotidiani regionali. Ha curato il documentario "La memoria del suono" dedicato alla figura dell'artista sardo Pinuccio Sciola. È del giugno 2018 il suo primo libro dal titolo "Sardegna, Jazz e dintorni" edito da Aipsa Edizioni, scritto in collaborazione con il giornalista Claudio Loi. È esperto di produzioni audio, video, social media e collabora con numerosi festival culturali regionali. Dal 2020 cura progetti legati alla comunicazione istituzionale.

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