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CeDAC/ Il Terzo Occhio – “Lo soffia il cielo (Un atto d’amore)”

Un opera interessante e coinvolgente che racconta i nodi irrisolti tra le mura domestiche

Per il secondo appuntamento con “Il Terzo Occhio“, la rassegna sui linguaggi del contemporaneo  organizzata dal CeDAC nell’ambito del Circuito Multidisciplinare dello Spettacolo in Sardegna, domani, debutta nell’Isola  di “Lo soffia il cielo (Un atto d’amore)”   di Massimo Sgorbani, con Maura Pettorruso e Francesco Errico, con drammaturgia e regia Stefano Cordella. Maura Pettoruso e Francesco Errico interpretano rispettivamente la madre e il figlio, prigionieri della propria solitudine e i propri fantasmi.

“Lo soffia il cielo (un atto d’amore),” un opera interessante e coinvolgente che racconta i nodi irrisolti tra le mura domestiche.

Sotto i riflettori Maura Pettorruso, poliedrica attrice e autrice, cofondatrice di Macelleria Ettore (Premio Nuova Scena per “NIP_Not Important Person”) e artefice dello Spazio Off di Trento, che interpreta il ruolo della Madre e Francesco Errico nella parte del Figlio, in una famiglia disfunzionale dove i protagonisti, prigionieri delle proprie ossessioni e dei fantasmi del passato, combattono per sopravvivere, in una personale quanto paradossale ricerca della “felicità”.

Vite allo specchio in un duplice flusso di coscienza tra dialoghi immaginari e confessioni, in cui due creature fragili e tormentate cercano di dare un senso al proprio destino e alla propria sofferenza, tra volontario isolamento e bisogno d’amore: due anime ferite, violate, oppresse messe a nudo attraverso parole crude e svelanti, ma anche immaginifiche e poetiche, tra amarezza e disincanto.

Sullo sfondo la civiltà dell’immagine e del consumismo sfrenato, rispetto alla quale i personaggi percepiscono la propria inadeguatezza, cui reagiscono ciascuno a suo modo, una rifugiandosi nell’ambito protettivo e illusorio di una teledipendenza e trasformandosi in una reclusa, l’altro cercando il proprio riscatto oltre l’indifferenza e gli abusi, nelle nebbie dell’infermità mentale, tra il ricordo doloroso degli atti di bullismo subiti nell’infanzia, la mancanza della figura paterna, l’amore come chimera.

Ritratto di famiglia in un “inferno” con l’opera originale (produzione Trento Spettacoli), che fonde due testi del drammaturgo Massimo Sgorbani (Premio Speciale della Giuria Riccione per “Angelo della gravità” e “segnalazione di continuità” per “Le cose sottili nell’aria”, secondo classificato al Premio Fersen con “Il tempo ad Hanoi”, vincitore del Premio Franco Enriquez per la drammaturgia 2008) nella versione di Stefano Cordella (co-fondatore della compagnia Oyes), uno dei più interessanti registi contemporanei.

Focus sull’alienazione e la disgregazione della società e in primis del suo nucleo fondante, la famiglia, con il progetto teatrale, vincitore del Premio Fantasio 2015, che mette a confronto due universi paralleli, dove perfino il tempo sembra scorrere a velocità diverse, tra il pulsare del sangue e il susseguirsi e affastellarsi di pensieri e emozioni.

Una narrazione a due voci sullo smarrimento e l’angoscia degli individui di fronte ai fantasmi, i pregiudizi e le paure che segnano un confine invisibile, tra vite non vissute e come implose nella dimensione claustrofobica di una casa, roccaforte impenetrabile dal mondo esterno ma anche metaforica gabbia in cui rinchiudere e soffocare sogni e desideri.

Lo soffia il cielo (Un atto d’amore)” descrive un’umanità dolente e imperfetta, tra storie drammatiche e peccati senza redenzione, nel segno della diversità: succubi di modelli attinti o meglio imposti dall’esterno, i protagonisti sperimentano il disagio di chi capisce di non appartenere a quella realtà splendente e fittizia riflessa sul piccolo schermo: entrambi si sentono esclusi e emarginati, ma restano incapaci di comunicare o anche solo di esprimere il proprio malessere e quindi di ritrovare nella sfera degli affetti e dei legami comprensione e conforto.

Tra le mura domestiche si consuma la tragedia silenziosa di due esseri perduti nei propri incubi, apparentemente ignari uno dell’altra, eppure consapevoli di una presenza aliena e disturbante, in un crescendo di tensione, tra frustrazioni e rabbia: una situazione potenzialmente esplosiva che, come troppo spesso accade nella realtà, da un momento all’altro potrebbe degenerare nella catastrofe, tra oscura violenza e “follia”.

« Il monologo è fase predialogica, presocratica, è un passo indietro in direzione del caos, del non ancora differenziato nelle regole della comunicazione logico discorsiva. Il monologo, inteso soprattutto come monologo interiore, si svolge in un flusso ininterrotto che attualizza di continuo il passato, lo rimugina, lo trasfigura, lo ripropone in veste di presente. Pezzi di passato sono sempre presenti, come la prima nota di una sinfonia è comunque presente nell’ultima. È un fardello ingarbugliato e che si ingarbuglia a ogni piè sospinto e che, in quanto flusso ininterrotto, si caratterizza non solo per le parole significanti, ma per le caratteristiche stesse del fluire, dello scorrimento soggetto a movimenti ritmico/musicali». Sostiene Massimo Sgorbani .

About Isabella Murgia

Isabella Murgia nata a Sassari, ma vivo a Cagliari dalla quinta elementare. Diploma di Liceo scientifico, laurea triennale in filosofia. Passione per il giornalismo e l'informazione.

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