Secondo il nuovo Rapporto annuale 2025 dell’Istat l’età della vecchiaia non coincide più con i 65 anni. L’aumento della speranza di vita e le migliori condizioni sociali e sanitarie spingono verso una definizione più dinamica dell’invecchiamento.
A 65 anni, oggi, molte persone lavorano ancora, si muovono con agilità, praticano sport e restano protagoniste della vita pubblica. Questa trasformazione sociale, registrata con chiarezza nel Rapporto annuale 2025 dell’Istat, pubblicato il 22 maggio, sposta inevitabilmente anche la soglia simbolica che storicamente segnava l’ingresso nella vecchiaia.
In demografia, i 65 anni coincidono da sempre con l’uscita dal mercato del lavoro, e quindi con l’inizio della terza età. Ma nella realtà quotidiana, quella linea sembra sempre più sfocata.
L’Istat introduce quindi un criterio più flessibile e aderente ai cambiamenti sociali: il concetto di vecchiaia viene ridefinito sulla base della speranza di vita residua, cioè sul numero di anni ancora da vivere in media. Questo approccio, già noto nei circoli scientifici, trova ora una piena applicazione istituzionale. In altri termini, non era più sufficiente contare gli anni anagrafici: occorre misurare quanto resta ancora da vivere in condizioni di salute e partecipazione sociale. Questo tipo di analisi, disponibile sul sito ufficiale dell’Istat, apre a una revisione profonda delle politiche per la popolazione anziana, del sistema pensionistico e dei servizi socio-sanitari.
L’Italia che invecchia, ma in modo nuovo
Secondo il rapporto, l’Italia resta tra i Paesi con la maggiore longevità in Europa, ma ciò non si traduce automaticamente in una popolazione fragile o inattiva. Anzi, la presenza attiva degli over 65 nelle associazioni culturali, nel volontariato e perfino nel mondo del lavoro testimonia un invecchiamento differente. A Roma, Milano, Bologna, Cagliari e in altre città italiane, aumenta i progetti locali destinati a coinvolgere gli anziani in attività sociali e culturali, promossi da enti come Auser e dai Comuni stessi, attraverso sportelli dedicati e programmi intergenerazionali.
La vecchiaia, quindi, non coincide più con una soglia di esclusione, ma diventa una fase di potenziale rinnovamento e partecipazione. In molte realtà, si assiste a una vera rivoluzione silenziosa: non si tratta solo di vivere più a lungo, ma di vivere meglio. Il concetto di “età attiva” trova così una nuova legittimità, anche sul piano statistico. L’approccio dinamico proposto dall’Istat sembra destinato a incidere a lungo termine su come l’Italia concepisce i propri anziani, non più destinatari di assistenza ma risorsa viva per la società.