Uno studio condotto dai ricercatori dell’università di stanford ha scoperto che l’eritropoietina, comunemente impiegata per trattare l’anemia, potrebbe frenare il sistema immunitario e favorire lo sviluppo dei tumori. nei test sui topi, il blocco dell’ormone ha portato alla scomparsa del tumore epatico.
Un nuovo studio dell’Università di Stanford sollevava forti interrogativi sul ruolo dell’eritropoietina nel contesto oncologico. I ricercatori notavano che questo ormone, largamente utilizzato nella terapia dell’anemia, in particolare nei pazienti oncologici o nefropatici, interferiva con le naturali risposte immunitarie del corpo. In presenza di un tumore, soprattutto nel fegato, l’azione dell’eritropoietina sembrava limitare la capacità del sistema immunitario di attaccare efficacemente le cellule cancerogene. Lo studio prendeva forma nei laboratori della Stanford University School of Medicine, dove gli scienziati conducevano esperimenti su modelli murini. I topi impiantati con tumori epatici mostravano una regressione significativa del cancro quando veniva bloccata la produzione dell’ormone. Questo risultato sorprendente indicava che l’eritropoietina agiva come una sorta di “schermo” biologico, proteggendo il tumore dall’attacco immunitario. Per ulteriori dettagli, i risultati venivano pubblicati direttamente nel sito ufficiale della Stanford Medicine e analizzati in collaborazione con il Cancer Institute dell’università.
un ormone da sempre associato all’anemia mostra un lato oscuro nella ricerca oncologica
Il ruolo dell’eritropoietina, fino ad oggi considerata una risorsa terapeutica fondamentale, subiva una revisione critica alla luce di questi nuovi dati. Il team guidato da Dr. Irving Weissman, uno dei massimi esperti nel campo dell’immunoterapia e della biologia tumorale, analizzava il comportamento dell’ormone in presenza di cellule tumorali attive. I ricercatori notavano che l’eritropoietina non solo stimolava la produzione di globuli rossi, ma innescava anche una cascata di segnali che disattivava alcuni linfociti T, cruciali per il riconoscimento e l’eliminazione delle cellule tumorali. Questo effetto immunosoppressivo permetteva al tumore di crescere indisturbato, soprattutto in organi complessi come il fegato. Il gruppo di Stanford concentrava l’attenzione sui tumori epatici perché in quei tessuti l’eritropoietina mostrava una particolare intensità d’azione. I ricercatori testavano un anticorpo capace di bloccare il recettore dell’ormone e osservavano una rapida distruzione del tumore nei topi. I risultati venivano poi discussi anche dal Weissman Laboratory, che da anni studiava il rapporto tra sistema immunitario e cellule staminali tumorali.
nuove prospettive per la terapia: il blocco dell’eritropoietina apre scenari inediti
La scoperta dell’Università di Stanford apriva nuovi scenari per la terapia oncologica, in particolare nell’ambito dell’immunoterapia. Invece di somministrare l’eritropoietina per contrastare gli effetti collaterali della chemioterapia, alcuni pazienti oncologici potrebbero trarre beneficio dall’inibizione dell’ormone stesso. Lo studio suggeriva infatti che l’eliminazione dell’azione dell’eritropoietina potesse “risvegliare” il sistema immunitario, rendendolo più efficace contro il tumore. Questo approccio, ancora in fase sperimentale, richiedeva ulteriori studi sull’essere umano, ma i dati preclinici indicavano una direzione promettente. L’équipe californiana valutava anche eventuali effetti collaterali della soppressione dell’ormone, dato il suo ruolo fondamentale nella regolazione ematica. Tuttavia, nei topi, la strategia appariva sicura e ben tollerata. L’interesse della comunità scientifica cresceva rapidamente, tanto che anche il National Cancer Institute iniziava a monitorare con attenzione gli sviluppi della ricerca condotta a Stanford.