Bibi, il dinosauro sardo dimenticato per 165 milioni di anni

Un nuovo studio condotto da tre ricercatori delle Università di Sassari e Cagliari svela l’identità di “Bibi”, il dinosauro che abitava l’antica Sardegna. La scoperta offre nuove prospettive sul passato geologico e paleontologico dell’isola.

Nel cuore delle ricerche paleontologiche italiane, la Sardegna si rivelava un territorio di grande interesse per la comprensione del passato remoto. In particolare, uno studio congiunto tra l’Università di Sassari e l’Università di Cagliari portava alla luce l’esistenza di un dinosauro che restava sconosciuto per circa 165 milioni di anni. I tre ricercatori coinvolti – tra cui il paleontologo Giovanni Pasini – si concentravano sul frammento fossile rinvenuto diversi anni fa nella zona di Bitti, in Barbagia. Il fossile, noto con il soprannome di Bibi, proveniva da un livello geologico del Giurassico medio, periodo in cui la Sardegna formava parte di un arcipelago tropicale immerso nel mare della Tetide. Lo studio, ora pubblicato su rivista internazionale, identificava per la prima volta Bibi come un dinosauro appartenente alla famiglia degli stegosauri, erbivori corazzati che camminavano su quattro zampe e che popolavano l’Europa milioni di anni fa.

I risultati delle analisi evidenziavano che Bibi rappresentava una delle testimonianze più antiche di dinosauri nella regione mediterranea. Il lavoro coordinato dal Dipartimento di Scienze Chimiche e Geologiche di Cagliari e da quello di Scienze della Natura e del Territorio di Sassari suggeriva che questi animali riuscivano a raggiungere le isole sarde grazie a collegamenti terrestri temporanei. Per approfondire il progetto, è possibile visitare il sito dell’Università di Cagliari e quello dell’Università di Sassari, entrambi aggiornati con le pubblicazioni scientifiche più recenti.

un fossile unico nel contesto geologico sardo

Il fossile di Bibi si conservava in condizioni frammentarie, ma sufficienti per permettere agli studiosi di identificarne le caratteristiche principali. Secondo le analisi, si trattava di un frammento di femore lungo circa 15 centimetri, compatibile con un animale di piccole dimensioni, ma robusto e ben adattato all’ambiente isolano. Giovanni Pasini, insieme ai colleghi Cristiano Dal Sasso e Marco Cherchi, riteneva che il fossile potesse riscrivere parte della storia paleontologica del Mediterraneo. La sua posizione all’interno di un antico sedimento marino testimoniava la complessità dell’ecosistema giurassico sardo. I ricercatori sottolineavano come la presenza di questo stegosauro rafforzasse l’ipotesi di una fauna più ricca e variegata di quanto si pensasse. Il Comune di Bitti, già impegnato nella valorizzazione del proprio patrimonio naturalistico, si mostrava interessato a sostenere un progetto museale che includesse il fossile.

Il recupero e lo studio del reperto aprivano quindi nuove prospettive per la ricerca paleontologica in Sardegna, isola che offriva ancora numerose sorprese dal punto di vista geologico. Per seguire gli sviluppi della ricerca e delle iniziative sul territorio, si poteva consultare il sito del Comune di Bitti e la pagina dell’Associazione Paleos, attiva nella divulgazione scientifica.

About Francesco Sailis

Appassionato di musica e di produzione musicale. Rider Glovo e amante del cinema.

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