
La voce di Edith Bruck, sopravvissuta all’Olocausto, segna la riflessione della settimana contro le discriminazioni, portando un messaggio di accoglienza e di speranza per il futuro.
La Settimana contro la discriminazione indetta dalle Nazioni Unite è un’opportunità importante per riflettere su temi delicati, come il razzismo, la discriminazione e l’intolleranza. Nell’ambito di questa settimana, il podcast realizzato dall’Istituto Tecnico Primo Levi di Quarto Sant’Elena ha dato voce a una delle figure più rappresentative della lotta contro l’odio e la discriminazione: Edith Bruck, una donna che ha vissuto in prima persona l’orrore dell’Olocausto e che oggi, attraverso la sua arte e la sua testimonianza, porta un messaggio di speranza e di accoglienza.
Edith Bruck è una scrittrice e poetessa ungherese che, da bambina, ha vissuto le atrocità dei campi di concentramento nazisti, un’esperienza che l’ha segnata profondamente e che ha trasformato il suo modo di vedere il mondo. Nel corso dell’intervista, Edith ha raccontato i momenti più terribili della sua vita, come quando venne deportata nel campo di Auschwitz e in altri campi di concentramento. Le sue parole non sono solo un racconto del dolore, ma anche un monito sulla necessità di mantenere viva la memoria storica.

La scrittura è stata per Edith Bruck una vera e propria salvezza. Come ha spiegato durante l’intervista, “la scrittura mi ha salvato”, un atto che le ha permesso di liberarsi dal veleno emotivo accumulato durante gli anni di sofferenza. La scrittura non solo come terapia, ma come un potente strumento di resilienza. La sua vita è la testimonianza che, nonostante le esperienze più difficili, l’arte e la cultura possono aiutare a guarire le ferite dell’anima e a lottare contro l’odio.
Il rapporto con l’Italia
Un altro aspetto fondamentale del suo racconto riguarda il suo rapporto con l’Italia, un paese che l’ha accolta con il calore umano, nonostante la barriera linguistica. Edith ha raccontato di come, nel suo arrivo in Italia, la sensazione di accoglienza fosse tangibile attraverso i sorrisi della gente. Un’ospitalità che l’ha fatta sentire “a casa”, un messaggio importante soprattutto oggi, quando troppe persone, soprattutto migranti e rifugiati, sono ancora vittime di intolleranza e discriminazione.
Durante l’intervista, Edith ha risposto anche alla “domanda oscura”, quella legata alla sua esperienza nei campi di concentramento. Con grande difficoltà, ha descritto la sofferenza indicibile di quei giorni, dicendo che non esistono parole sufficienti per raccontare il dolore e l’umiliazione vissuti. La sua testimonianza si fa, quindi, strumento di memoria collettiva, per ricordare le atrocità del passato e impedire che si ripetano in futuro. “Non si può raccontare, quella sofferenza è assolutamente indicibile”, ha dichiarato, un monito per le generazioni future.
Il racconto di speranza
Tuttavia, il racconto di Edith non è solo un richiamo al dolore, ma anche un richiamo alla speranza. La sua vita, che ha attraversato il dolore e l’orrore, oggi è un esempio di forza, di speranza e di umanità. Le sue parole sono un invito a non dimenticare mai le sofferenze passate, ma anche a costruire un futuro di pace e di accoglienza, dove le differenze non siano motivo di divisione ma di arricchimento reciproco.
La settimana contro la discriminazione, e le testimonianze di persone come Edith Bruck, sono fondamentali per sensibilizzare le nuove generazioni a combattere ogni forma di discriminazione. La sua storia di vita, unita alla sua capacità di trasformare il dolore in arte e di promuovere un messaggio di pace e solidarietà, ci insegna che solo attraverso la memoria storica e il rispetto delle differenze possiamo costruire una società più giusta e inclusiva.