La revisione della legge che protegge le aziende tecnologiche da azioni penali
I giganti del web come normali editori, responsabili in solido dei contenuti pubblicati dai loro utenti. Un post su Facebook, o su Twitter, o su Google, potrebbero comportare responsabilità sia penali, sia civili, se la Corte suprema degli Stati Uniti dovesse riesaminare, come farà in questa settimana, la legge che da più di 25 anni protegge le aziende tecnologiche da azioni penali per i contenuti pubblicati. Una revisione che potrebbe rivoluzionare il web e aprire la strada ad azioni risarcitorie in massa.
L’Alta Corte in due udienze
Martedì e mercoledì, dovrà esprimersi sulle cause intentate dalle vittime di attacchi jihadisti che accusano Google e Twitter di “aiutare” il gruppo dello Stato Islamico (EI) diffondendone la propaganda. Le sentenze saranno emesse entro il 30 giugno e potrebbero modificare sostanzialmente la legge del 1996 che è considerata un pilastro di internet. Lo spirito della legge infatti escludeva responsabilità oggettive delle piattaforme per evitare che le aggressioni legali potessero intralciarne la crescita. C’era però l’incentivo a rimuovere contenuti considerati “problematici”.
Le aziende tecnologiche del web hanno perso credibilità
Ma i giganti tecnologici non godono più della stessa considerazione degli inizi e l’immunità accordata finora sembra avere i giorni contati, anche per l’ondata di messaggi razzisti e complottisti che i big del web hanno permesso di circolare liberamente, mentre la destra americana punta l’indice contro la censura per aver bloccato Donald Trump su diversi social network. Per queste divergenze di opinioni, una riforma che partisse da organi legislativi è sempre stata difficile, mentre ora l’intervento della Corte suprema sulla cosiddetta “Sezione 230” appare più probabile. Gli operatori di settore vedono nella prospettiva un “impatto catastrofico”. “Esporre i servizi online a cause legali li esporrebbe a continui reclami”, ha avvertito Meta (Facebook, Instagram, WhatsApp) in un documento inviato alla Corte.
Twitter e l’attentato di Istanbul del 1 gennaio 2017
D’altra parte, una trentina di Stati, sia democratici che repubblicani, associazioni di protezione dell’infanzia e di polizia hanno chiesto alla Corte di mettere le aziende di Internet di fronte alle loro responsabilità. Mercoledì l’Alta Corte prenderà in esame un caso che contrappone Twitter alla famiglia di una vittima di un attentato in una discoteca di Istanbul il 1 gennaio 2017, ma pone una questione a parte. Senza entrare nel dibattito sulla Sezione 230, una corte d’appello ha stabilito che il social network potrebbe essere perseguito in base alle leggi antiterrorismo e considerato “complice” dell’attacco perché i suoi sforzi per rimuovere i contenuti del gruppo non sono stati abbastanza “energici”.
Le parole degli avvocati di Twitter
Twitter si è rivolta alla Corte Suprema degli Stati Uniti per ribaltare questa decisione. Altrimenti, “ci si chiede cosa potranno fare le aziende per evitare di essere perseguite ai sensi delle leggi antiterrorismo”, hanno scritto i suoi avvocati, “anche se tentassero di rimuovere i contenuti, un querelante potrebbe comunque accusarle di non aver fatto abbastanza”.