Un affresco della società tra humour nero e verità inconfessabili con “Fashion Victims” di Giovanni Follesa ispirato a “Fashion Victims – Pamphlet inutile sulla morte da Coronavirus”.
“Fashion Victims” già nel titolo allude ironicamente ai dogmi della moda, ma soprattutto al trionfo dell’apparire nella moderna civiltà dell’immagine. Non senza malizia Giovanni Follesa, noto giornalista e scrittore approdato alla drammaturgia, traccia i ritratti di quattro personaggi emblematici. Loro riflettono sul rispetto delle regole sancite da una serie di decreti durante un’emergenza sanitaria e quelle del vero “distanziamento sociale” basato sul censo e sull’educazione.
Giuseppe Ligios incarna Foffo alle prese con un dilemma: come vestirsi in occasione del fatidico ultimo incontro e come organizzare la propria uscita di scena. Poi la femminilità negata sotto un austero abbigliamento, simbolo di quello è ormai diventato il suo habitus mentale, è la caratteristica di Marina. Cresciuta in un clima marziale e divenuta quasi inevitabilmente un’impiegata dell’agenzia delle entrate, cui fa pendant l’estrosa Samantah, parrucchiera dei vips. Più che una professione, una vocazione, fin dai segni rivelatori dell’infanzia, in cui fame d’affetto e sogni di gloria trovavano una forma di espressione. La galleria dei personaggi si chiude poi con Gabriele, un “eremita” metropolitano, volontariamente esiliatosi dal mondo per sfuggire al contagio.
La riflessione
In scena nevrosi e manie, lievi e profonde idiosincrasie di singoli individui costretti a fare i conti con se stessi. Rimorsi o rimpianti, esitazioni e paure si concentrano nel tempo sospeso, dominato dall’ansia e dall’incertezza del futuro, che mette a nudo le fragilità dell’animo umano.
“Fashion Victims” propone interessanti spunti di riflessione sulla capacità dei singoli e della collettività di fronteggiare gli imprevisti e le insidie della sorte. Un evento nefasto mette alla prova il temperamento dei personaggi, inducendoli ad attuare comportamenti coerenti con la loro personalità, educazione, status sociale. La prospettiva di dire addio all’esistenza trascorsa nel lusso e negli agi fa nascere in Foffo il pensiero di organizzare perfino le proprie esequie.
L’ipotesi di una fine imminente getta una luce diversa sulle tragedie del quotidiano, l’atteggiamento dei personaggi muta e le loro azioni assumono un significato diverso; le decisioni si fanno più impulsive, o più ponderate; lo stato d’animo oscilla tra rabbia e rassegnazione nella consapevolezza che nulla sarà più come prima. Cadono le maschere dietro le quali è stato possibile conquistare una certa tranquillità, un equilibrio e un posto nel teatro del mondo. Riaffiorano i ricordi e i rimpianti, i sogni infranti, le occasioni perdute, le rinunce e i sacrifici, i compromessi, insieme con il peso delle limitazioni.
“Fashion Victims” non offre soluzioni né sentenze, ma si interroga, privilegiando la chiave dell’ironia, sulle conseguenze di un’epidemia moderna e della sua diffusione planetaria. Punta i riflettori su donne e uomini che rappresentano soltanto una piccola parte della popolazione (per quanto significativa, se non altro dal loro punto di vista) per descrivere, attraverso i loro sguardi, quale sia stata o potrebbe essere la risposta – una delle tante possibili – dell’umanità davanti alla catastrofe.