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Ambiente: Il bambù come vera alternativa alla plastica

“La vera alternativa alla plastica? Il bambù. Che è anche l’alimento sano del futuro, rigorosamente biologico e tutto italiano, e ci dà una mano con il clima!”

La vera alternativa alla plastica? Il bambù“. Questo è ciò che afferma, senza alcun dubbio, Paolo Bruschi. Egli ha avuto carriera manageriale di tutto rispetto, e infatti è stato vice direttore generale di Poste Italiane e, prima ancora, alle relazioni esterne di Fininvest e Omnitel con la sua agenzia di comunicazione. Una carriera riconvertita alla natura perché a un certo punto, come dice lui, ha scelto di sporcarsi le mani, tornare alla terra e far crescere un bosco di bambù alle porte di Ferrara.

Il bambù come assorbitore di CO2

Ho seguito l’intuito e la passione per il verde”, dice Bruschi all’AdnKronos. Ma da buon manager ha prima studiato il prodotto che lui definisce “una pianta miracolosa”, come alimento, come materiale e per la capacità di assorbire CO2. “E’ l’unica grande alternativa alla plastica, perché ha durezza, elasticità e malleabilità. Con il bambù si può fare quasi tutto quello che viene fatto con la plastica – spiega – I germogli di bambù, poi, oltre che buonissimi sono tra gli alimenti più utili in un’alimentazione sana, un alimento spettacolare, apprezzato ovunque. L’unico problema, è che non ce ne sono tanti perché i bambuseti iniziano a produrre dopo 5 anni e in Italia il mercato del fresco è assente, quello che c’è è d’importazione”.

E poi, “il bambù è una delle piante al mondo che assorbe più CO2, più di un bosco normale. Anche perché in un ettaro arrivano ad esserci, dopo 5 anni, 30mila piante. Incamera molta CO2 e restituisce molto ossigeno, il 35% in più di un albero importante”.

Un discorso ‘tutto biologico’

Niente chimica per il bambù (che in Italia attecchisce molto bene), a ripulire il terreno dagli insetti ci sono le anatre. Poi, trifoglio nano per far felici le api, e tra 15 giorni si pianteranno anche tre ettari a mais antico. Tutto biologico. Insomma, un’oasi in cui fare business. “L’obiettivo è quello di unire l’attività agricola a un’attività economica che sia al contempo un’attività ambientale – spiega Bruschi – Ho fatto altro nella vita e avevo voglia di lasciare qualcosa di importante in eredità, ai miei figli e alla città: un bosco. Ho 65 anni, ho energia e voglia di fare qualcosa che sia, da una parte, un ritorno alle origini e alla terra, e che dall’altra si colleghi a un mondo che sta cambiando e che ha bisogno di un’imprenditoria green che vada nella direzione del rispetto dell’ambiente e della biodiversità. Sono convinto che il bambù risponda a tutte queste caratteristiche”.

Un visionario, un imprenditore che sogna e che ha dato a questa sua nuova avventura il nome della principessa di Atlantide: Kida. Il primo bambuseto lo ha piantato un anno fa. Oggi conta tre ettari e mezzo coltivati a bambù moso, che è un bambù gigante, e il più piccolo dulcis per i germogli. In autunno, pianterà su altri 4 ettari un altro tipo di bambù, il madake, di grandi dimensioni e molto legnoso.

Le filiere – ammette – sono ancora deboli ma è anche vero che anche se i bambuseti maturi in Italia sono pochissimi ci sono situazioni che si stanno muovendo. Le filiere, seppure deboli, ci sono. S tratta solo di incrementarle con del materiale che non sia di importazione. E’ un investimento sul futuro e sono sicuro che il bambù avrà futuro. Ne sono certo perché sono un ottimista e credo che prevarrà il bene comune sull’egoismo degli interessi di parte. La strada è sicuramente anomala rispetto al percorso che ho fatto finora, ma quanto sto bene, quanto è bello sporcarsi le mani…

About Ilaria Atzei

Mi chiamo Ilaria e frequento l'ultimo anno della triennale di Beni Culturali e Spettacolo dell'Università di Cagliari.

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