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Covid, Dan Barouch: “Vi spiego come ho scoperto il vaccino Johnson&Johnson”

Il vaccino anti-Covid prodotto da Johnson&Johnson, pur essendo stato sviluppato nel tempo record di un anno come i vaccini di Pfizer, Moderna e AstraZeneca; in realtà viene da più lontano: Dan H. Barouch, docente di immunologia presso la Harvard Medical School e direttore del centro di virologia e ricerca sui vaccini del Beth Israel Deaconess Medical Center; ha iniziato a lavorare al meccanismo caratteristico del vaccino, ovvero l’uso di un adenovirus per portare l’antigene dentro le nostre cellule, già dal 2003, nella ricerca di un vaccino contro l’HIV. Barouch alle 15.45 di oggi parteciperà all’evento online ‘Covid-19: developing a vaccine during a pandemic’; organizzato dal Dipartimento di scienze biomediche (Dsb) e dall’Istituto di tecnologie biomediche (Itb) del CNR, insieme all’Università di Pisa.

Professor Barouch, come nasce il suo vaccino per il Sars-Cov-2?

“Abbiamo pensato di usare, come vettore del vaccino, un adenovirus modificato e reso innocuo, che può entrare nelle cellule umane ma non può replicarsi in esse o danneggiare l’organismo; già nel periodo 2003-2005, quando abbiamo sviluppato il vettore vaccinale Ad26, dove “Ad” sta per adenovirus. Nel 2007 abbiamo pubblicato il primo studio a riguardo. E nel nostro programma di vaccino per l’HIV, che continua e ha richiesto molto tempo perché l’HIV è un virus molto insidioso e in continua mutazione, abbiamo scelto Ad26 per la sperimentazione prima animale e poi clinica. Oggi siamo arrivati alla fase 3 della sperimentazione del vaccino sull’HIV. Il passo successivo nell’uso di Ad26 è stato il 2016, quando abbiamo applicato per la prima volta Ad26 a una pandemia, quella del virus Zika. E allora siamo rimasti di stucco…”

Cosa vi stupì?

“Mentre il vaccino per l’HIV aveva ancora una serie di sfide scientifiche da risolvere, quando abbiamo applicato la piattaforma vaccinale Ad26 allo Zika; abbiamo visto che, sia sulle scimmie che sull’uomo, una singola dose di vaccino era sufficiente a far produrre anticorpi neutralizzanti protettivi in tutte le scimmie e nella grande maggioranza dei soggetti umani. L’esperienza con lo Zika ci ha mostrato quanto potente ed efficiente potesse essere per un virus più ‘docile’ rispetto all’HIV.

E con il programma per lo Zika abbiamo avuto il concetto che quel vaccino fosse così efficace con una sola dose. Poi Johnson&Johnson (che dieci anni fa ha acquisito Crucell, la piccola biotech olandese che collaborava con noi del Beth Israel Deaconess Medical Center; ha continuato a sviluppare Ad26 per altri patogeni. In particolare per l’Ebola: Il vaccino J&J per l’Ebola è stato sviluppato per essere impiegato in Africa Centrale, ed è stato approvato nel 2020 dalle autorità europee”.

Quello per l’Ebola è stato il primo vaccino basato su Ad26 a ricevere approvazione…


Attraverso il programma per l’Ebola, J&J ha mostrato di poter produrre milioni di dosi del vaccino. E sono state sviluppate formule che potessero essere distribuite in Africa Centrale, e non richiedessero di essere conservate a temperature sotto zero gradi. È allora che J&J ha sviluppato le formule che permettono al vaccino di essere stabile, in forma liquida, a temperature da frigorifero. Formule che usiamo ora anche per il vaccino anti-Covid.

Tutto questo insieme di esperienze con Ad26 per l’HIV, lo Zika e l’Ebola è stato prezioso nel gennaio 2020 quando è scattato l’allarme pandemia; e abbiamo capito la necessità di un vaccino per contrastare il Sars-CoV-2. E abbiamo pensato che un vaccino a dose unica che non richiedesse temperature sottozero; e potesse stimolare la produzione di anticorpi in tutti gli individui, fosse qualcosa che poteva essere utile contro il Covid-19″.

Cosa permette al vostro vaccino di fare a meno delle temperature sottozero?

“All’interno dell’adenovirus Ad26, noi inseriamo le istruzioni che le cellule umane necessitano per produrre l’antigene, ovvero la proteina spike del Sars-Cov-2, sotto forma di DNA. Questa differenza con i vaccini che invece usano una molecola di RNA è quella che conta per la temperatura di conservazione. Il DNA è una molecola molto più stabile dello RNA, e quindi non ha bisogno di temperature sottozero per preservarsi”.  

Oggi siamo tutti preoccupati per le varianti del Sars-CoV-2. Di quanto riducono l’efficacia del suo vaccino?

“Dal punto di vista dell’efficacia, i risultati più importanti del mio vaccino sono il 100% di protezione contro l’ospedalizzazione e la morte, e l’85% di protezione contro la forma grave della malattia. L’efficacia contro la forma moderata di Covid è invece più bassa: 72% negli Stati Uniti, 68% in Brasile e 64% in Sudafrica: ecco, questa è anche la risposta alla sua domanda sulle varianti brasiliane e sudafricane. In particolare è interessante notare che la variante più temuta, la B.1.351 del Sudafrica, riduce l’efficacia solo di 8 punti percentuali.

La cosa più importante, secondo me, è che l’efficacia contro le forme gravi di malattia non sia ridotta affatto, anche con le varianti: negli Usa è 86%, in Brasile è dell’88% e in Sudafrica è dell’82%. Si può dire che in questo momento il nostro vaccino è, tra quelli approvati, quello che più sembra efficace con le varianti, comprese le varianti che riescono a sfuggire, parzialmente, agli anticorpi neutralizzanti”.

Quanto dura la protezione del suo vaccino?

Non possiamo ancora saperlo: dovremo aspettare e vedere. Ma quello che sappiamo è che una singola iniezione del vaccino Ad26 per lo Zika ha aumentato i titoli anticorpali in quasi tutti i soggetti, e gli anticorpi sono durati per più di un anno”.

Cosa rende il vaccino J&J efficace già con solo una dose?
“Come dicevo prima l’adenovirus Ad26 è un vettore. Ma in realtà non è soltanto un vettore, perché il suo involucro – trattandosi comunque di un virus – aiuta a innescare la risposta del sistema immunitario. Possiamo considerare Ad26 come una sorta di ‘adiuvante naturale’ per la risposta immunitaria, e non soltanto come un mero “veicolo di consegna” del vaccino”. Spiega Barouch.

Come affronterete le varianti? 
“Come fanno tutti gli altri produttori di vaccini, insieme a J&J stiamo sviluppando versioni aggiornate del vaccino che includono la variante B.1.351 del Sudafrica, e quelle saranno valutate negli animali e negli esseri umani. Quello che non sappiamo, però, è se sarà necessario, perché il vaccino attuale mostra già un alto livello di efficacia contro la variante”. 

Quale fu il momento in cui decise di affrontare la sfida del Covid? 

“Ricorderò la sera del 10 gennaio 2020 per il resto della mia vita. Era il giorno del ritiro annuale del Barouch Lab: una volta all’anno riunisco tutte le persone del mio gruppo e teniamo un seminario parlando di tutto ciò che abbiamo fatto nell’anno trascorso, e dei piani per il futuro. Il 10 gennaio dell’anno scorso, parlando degli articoli usciti sui giornali, commentavamo il fatto dei quarantuno casi di una misteriosa polmonite. Che aveva provocato un decesso. Trovavamo la cosa già allarmante, per la descrizione dei casi. Io ero preoccupato soprattutto perché era chiaro che si trattava di un virus respiratorio nuovo: quindi non c’era immunità preesistente nella popolazione umana, e c’era il sospetto che potesse trasmettersi da persona a persona. Un’altra cosa che trovavo allarmante era che la malattia clinica sembrava essere meno grave rispetto alle precedenti epidemie di SARS e di MERS…”

Perché lei trovava più preoccupante il fatto che la nuova malattia fosse meno grave rispetto alla SARS e alla MERS? 

“Intendiamoci: se uno viene colpito dal Covid, il fatto che sia meno grave della Sars è ovviamente un bene. Ma il problema è che io avevo già intuito, a quel punto, che se la malattia è meno grave crescono le probabilità di avere portatori asintomatici. Per SARS e MERS, tutti quelli che sono stati infettati si sono ammalati così tanto che hanno sviluppato una febbre alta e la cosa critica è che hanno sviluppato la febbre molto presto. Quindi, fin quando si è in grado di controllare le persone per la febbre e i sintomi respiratori, è stato possibile isolarle e metterle in quarantena molto facilmente.

Mentre con quella “polmonite misteriosa” (che oggi sappiamo essere il Covid-19) le persone si potevano infettare in modo asintomatico e diffondere moltissimo il virus. E anche questo, ovviamente, si è rivelato corretto. Un virus che causa un’infezione asintomatica o pre-sintomatica in individui che potrebbero essere ancora contagiosi; rende molto più difficile controllare una pandemia attraverso le tradizionali misure di salute pubblica come l’isolamento e la quarantena. E questo è il motivo per cui abbiamo pensato il 10 gennaio dell’anno scorso che dovevamo iniziare immediatamente a lavorare a un vaccino”.

Quindi vi siete dati da fare subito?

Abbiamo iniziato a lavorarci la sera stessa del 10 gennaio 2020. Dopo che siamo tornati tutti a casa dal nostro ritiro, ho mandato un’e-mail a quattro scienziati del mio gruppo e ho detto: “analizziamo la sequenza”. Che era stata resa pubblica proprio quel giorno dai ricercatori cinesi. A partire da quella stessa notte, abbiamo iniziato ad analizzare la sequenza, l’abbiamo confrontata con la SARS e la MERS e abbiamo individuato il gene “spike” come bersaglio per un vaccino. Durante quel fine settimana, abbiamo sviluppato sequenze per i candidati al vaccino, e al ritorno in laboratorio lunedì 13 gennaio abbiamo iniziato il processo di creazione di geni sintetici e di realizzazione di un prototipo di vaccino.

Due settimane dopo, il weekend del 25 gennaio, mentre l’epidemia in Cina esplodeva contagiando migliaia di persone, ho chiamato Johan Van Hoof, che era il capo dei vaccini alla J&J. E gli ho detto: “Johan, state facendo qualcosa per questo? Qui sembra che abbiamo davvero bisogno di un vaccino”. Il lunedì mattina successivo abbiamo riunito le nostre squadre e abbiamo deciso proprio allora che avremmo collaborato con la collaborazione J&J che aveva funzionato così bene per l’HIV e lo Zika. Era venuto il momento di impiegare Ad26 contro il Covid”.

Qual è la sua previsione sul futuro della pandemia?

La cosa più importante ora è distribuire rapidamente tutti i vaccini, non solo i nostri, ma tutti i vaccini che sono sicuri ed efficaci. Devono essere distribuiti al mondo, alle popolazioni globali il più rapidamente possibile, non solo per proteggere la salute degli individui e per creare l’immunità di gregge per le popolazioni, ma anche perché più velocemente possiamo tenere sotto controllo l’attuale pandemia e minori saranno le possibilità di emergere di nuove varianti virali. Che in futuro potrebbero diventare ancora più problematiche delle varianti che abbiamo oggi”.

https://www.jnj.com/johnson-johnson-covid-19-vaccine-authorized-by-u-s-fda-for-emergency-usefirst-single-shot-vaccine-in-fight-against-global-pandemic

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