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Le università italiane crescono nei ranking internazionali

In tre anni 85 nuovi atenei nei sei ranking più riconosciuti e 11 nuove accademie nelle top 200. Le eccellenze di Politecnico e Bocconi di Milano e dell’Alma Mater di Bologna. Resta (Crui): “Il sistema nazionale deve crescere insieme”.

Il movimento universitario italiano, delle università italiane più precisamente, cresce nel mondo. Non esplode, cosa che sarebbe difficile da spiegare, peraltro, ma cresce. E’ stato reso pubblico il lavoro della Conferenza dei rettori sui ranking internazionali, chiuso lo scorso dicembre, e dice alcune cose confortanti. In tre anni, dal 2017 al 2020, nelle sei classifiche internazionali considerate sono entrati 85 atenei e nelle prime duecento posizioni, 11.

Bene, il ranking accademico in Italia è argomento spesso polemico. Il gruppo di lavoro Crui, guidato da Mirko Degli Esposti, prorettore vicario dell’Università di Bologna, e Giulio Vidotto, coordinatore della commissione dell’Università di Padova. Il gruppo riconosce il successo crescente di queste classifiche – a partire dal 2003, quando esordì la prima, Arwu, redatta dall’Università Jiao Tong di Shanghai – è palese e che queste graduatorie da una parte sempre più ispirano le scelte degli studenti nel mondo e, dall’altra, intervengono nelle scelte economiche e didattiche dei singoli atenei, che provano a migliorare le proprie performance.

I sei ranking presi in considerazione sono diversi tra loro: c’è chi nel cesto dell’analisi mette il rapporto tra professori e studenti, chi valutazioni di carattere reputazionale richieste agli stessi atenei, chi analizza i singoli dipartimenti, quasi tutti hanno comunque un riferimento alle pubblicazioni o agli indici bibliografici. Possono, tuttavia, essere considerati i più “popolari” tra i cinquanta esistenti nel mondo.

Le classifiche

Bene, nella classifica Arwu in tre anni siamo passati da 16 a 46 atenei presenti con una crescita da 2 a 3 nei top 200. Nel londinese Times Higher Education la progressione generale è da 39 a 49 e nelle prime duecento posizioni entrano di nuovo 3. Qs, anche questo britannico, è il ranking più famoso. Qui gli atenei italiani in tre stagioni sono saliti da 31 a 39, ma nei primi duecento c’è stata una regressione: da 3 a 2. Ancora, U-Multirank, la classifica avviata dalla Commissione europea: da 49 a 79 gli atenei italiani considerati in questo caso e da 5 a 7 quelli entrati in Fascia A.

Due delle sei graduatorie non sono generaliste. Greenmetric, nata in Indonesia, tiene conto della sostenibilità delle singole strutture: qui le italiane sono passate da 22 a 29 e nei primi duecento posti da 5 sono diventate 11. Infine, sempre da Qs, c’è la classifica employability: le università italiane in questa raffinazione di analisi erano 16 e 16 restano, ma nei primi duecento posti da 5 passano a 7.

“Pochi professori e poco attrattivi per l’estero”

Sono quindicimila le università esistenti nel mondo, ma nelle classifiche considerate ne entrano soltanto mille. Le italiane che hanno partecipato al sondaggio Crui sono 67 (su 83). All’interno di Qs, in un rapporto con Germania, Francia e Spagna, si trovano quarantasei atenei tedeschi, 34 italiani, 31 francesi e 27 spagnoli. Nei primi duecento posti della graduatoria, però, ne figurano dodici tedeschi, 5 francesi e solo 3 italiani e 3 spagnoli.

Uno dei motivi per cui eccelliamo, è che “il numero di docenti universitari italiani è minore rispetto a quello degli altri sistemi universitari”. Abbiamo pochi professori rispetto agli alunni presenti, e la questione del finanziamento al sistema torna al centro. La quasi totalità delle università italiane prese in considerazione (32 su 34) sono oltre la cinquecentesima posizione nella classifica del rapporto docenti-studenti. “Si tratta sicuramente del peggior risultato fra i sistemi universitari presi in esame”.

Un andamento simile è riscontrabile sugli indicatori che misurano la capacità di attrarre studenti e docenti internazionali: in entrambi i casi 31 atenei italiani su 34 si posizionano oltre la cinquecentesima posizione, registrando il peggior risultato rispetto a Francia, Germania e Spagna.Al contrario, sono 17 gli atenei italiani nella top 300 di Qs per l’indicatore citazionale, con un risultato superiore a quello degli altri tre sistemi universitari.

Se la ricerca universitaria italiana gode di buona salute e continua a rendere il Paese competitivo nel contesto internazionale, spiega il rapporto Crui, “la formazione universitaria invece soffre per un corpo docenti ridotto nei numeri e avanti nell’età, una progressiva riduzione di investimenti pubblici nella formazione e, in definitiva, un alto costo sociale in termini di Neet (giovani che non studiano né lavorano) ed economico in termini di perdita di Prodotto interno lordo”.

Resta (Crui): “Il sistema deve crescere insieme”

Sul piano delle singole università, il Politecnico di Milano si conferma nei tre anni primo nel ranking Qs raggiungendo il 137° posto nel 2020. Nella classifica del Times, guida Bologna, davanti alla Scuola superiore Sant’Anna di Pisa e alla Normale di Pisa. Nell’U-Multirank Bocconi di Milano è davanti all’Imt di Lucca e, quindi, al Politecnico di Milano.

“Promuovere la crescita delle università nel contesto internazionale è un fattore fondamentale non solo per aumentare la loro competitività, ma per accrescere l’attrattività del sistema educativo e di ricerca italiano nel suo complesso”, dichiara Ferruccio Resta, presidente Crui, “è prioritario migliorare la percezione e il posizionamento del Paese in modo unitario, ricomponendo un’immagine spesso tracciata in modo disarticolato”.

About Simone Usai

Studente universitario presso Università di Cagliari, amante di libri e musica con passione per la ludica on the side.

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