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Il nuovo magnetometro e i segnali magnetici del cervello

Un nuovo magnetometro dell’Università di Birmingham percepisce i deboli segnali magnetici emessi dal cervello.

Riesce a misurare i deboli segnali magnetici propagati dal cervello il nuovo sensore realizzato dal team di ricercatori dell’Università di Birmingham. Secondo gli stessi ricercatori, questo nuovo dispositivo potrebbe essere molto utile per comprendere di più riguardo alla connettività del cervello. Si parla infatti di una delle aree di studio tra le più complicate. Potrà essere utilizzato anche per obiettivi meramente più pratici come l’individuazione delle lesioni cerebrali di tipo traumatico e segni relativi a demenza o schizofrenia.

Il nuovo sensore, denominato Optically Pumped Magnetometer (OPM), usa la luce polarizzata per intercettare i piccoli cambiamenti nell’orientamento dello spin degli atomi una volta che questi ultimi vengono esposti ad un campo magnetico. Il nuovo dispositivo è descritto in uno studio apparso su NeuroImage. Secondo lo stesso comunicato apparso sul sito web dell’Università di Birmingham, questo nuovo dispositivo, rispetto ad altri simili, risulta più robusto e più efficace nel rilevare i più piccoli segnali cerebrali di tipo magnetico provenienti dal cervello e nel distinguerli dal “rumore di fondo” magnetico.

Inoltre risulta più piccolo perché ha un numero minore di componenti elettronici. Questo tra l’altro aiuta anche a ridurre il pericolo di interferenza tra più sensori. I ricercatori lo hanno già testato nel Centre for Human Brain Health della stessa università inglese. Hanno ottenuto buoni riscontri in condizioni ambientali nelle quali altri sensori simili non funzionavano altrettanto efficacemente.

Le differenze con il metodo classico

Ad oggi per effettuare rilievi di segnali magnetici del cervello viene utilizzata la magnetoencefalografia (MEG). Questo nuovo dispositivo potrebbe permettere di effettuare test simili, con lo stesso livello di efficacia, anche al di fuori di unità specializzate che abbiano i macchinari appositi.

“I sensori MEG esistenti devono essere a una temperatura costante e fresca e questo richiede un ingombrante sistema di raffreddamento ad elio, il che significa che devono essere disposti in un casco rigido che non si adatta a tutte le dimensioni e forma della testa. Essi richiedono anche un ambiente a campo magnetico zero per captare i segnali cerebrali.

Il test ha dimostrato che il nostro sensore autonomo non richiede queste condizioni. Le sue prestazioni superano i sensori esistenti e può discriminare tra campi magnetici di fondo e attività cerebrale”. Lo spiega Anna Kowalczyk, una delle ricercatrici impegnate nel progetto di studio.

About Letizia Gusai

Appassionata di lettura e scrittura, sta terminando il suo percorso di studi in Beni Culturali e Spettacolo. Adora viaggiare e guardare film.

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