Amigdala: sin dagli anni ’30 dello scorso secolo considerata un elemento centrale nella percezione della paura. Oggi ritenuto molto più complesso
Sin dagli anni ’30 dello scorso secolo i ricercatori hanno considerato l’amigdala, la struttura a forma di mandorla situata nel lobo temporale del cervello, come un elemento centrale nella percezione della paura. Il ruolo di questa regione, però, viene oggi ritenuto molto più complesso.
Ne parla su Trends in Neurosciences Lisa Feldman Barrett, professoressa di psicologia presso la Northeastern University di Boston, che studia il cervello per capire cosa siano le emozioni.
Lisa Feldman Barrett, professoressa di psicologia
“All’inizio gli scienziati hanno ipotizzato che essa contenesse un circuito associato alla paura e ai comportamenti a essa collegati”, spiega l’autrice. Attraverso esperimenti condotti sull’uomo e su modelli animali, hanno ampliato quindi le loro ipotesi. L’amigdala è quindi stata considerata la sede del circuito che regola le emozioni negative. Poi la sede di tutte le emozioni. Infine è stata associata a tutte le manifestazioni della sfera emotiva, come la percezione di pericolo.
Oggi sappiamo che questa regione è importante nel segnalare quali informazioni devono essere memorizzate. Cioè quali informazioni sono importanti per anticipare i bisogni del corpo e per cercare di soddisfarli prima che si manifestino. Che si tratti di un segnale di pericolo o di un meccanismo di ricompensa, queste informazioni aiuteranno il cervello a predire in modo più corretto le situazioni future.
La ricercatrice ripercorre le tappe che hanno aiutato a capire meglio queste funzioni. Negli anni ’30 del Novecento, Heinrich Klüver e Paul C. Bucy dell’Università di Chicago hanno descritto profondi cambiamenti di comportamento nei macachi rhesus i cui lobi temporali (contenenti l’amigdala) erano stati rimossi. Alcuni di questi comportamenti includevano una insolita volontà di avvicinare serpenti e altri animali pericolosi.
Decenni di studi sull’amigdala
A questa osservazione hanno fatto seguito decine di anni di studi, condotti su modelli animali, che hanno indagato la capacità dell’amigdala di indurre lo stato di paura. All’inizio degli anni ’90 gli scienziati erano giunti alla conclusione che la struttura fosse parte integrante del sistema cerebrale che regola questa emozione primaria.
È in questo periodo, però, che una serie di studi iniziano a sollevare nuove ipotesi. Un gruppo di ricercatori dell’Università dell’Iowa pubblica, infatti, dei lavori su una donna, S.M., affetta da rare lesioni bilaterali dell’amigdala, dovute a una malattia genetica conosciuta come sindrome di Urbach-Wiethe. Una ricerca descritta nel 1994 su Nature mostra che S.M. è incapace di riconoscere le espressioni facciali legate alla paura. Se questa evidenza conferma la teoria già accettata, studi successivi sullo stesso caso mettono in luce altri aspetti non ancora considerati. La donna, infatti, si rivela incapace di riconoscere non solo le espressioni di paura, ma anche quelle legate ad altre emozioni.
A questo punto appare chiaro che l’amigdala è coinvolta nella capacità di interpretare lo sguardo di un’altra persona, una capacità associata in senso generale al funzionamento sociale. In particolare, si è scoperto che essa è in grado di valutare l’ampiezza della sclera, il “bianco degli occhi”: l’amigdala reagisce più intensamente a uno sguardo spaventato (che ha una sclera più ampia) rispetto a uno sguardo felice.
L’amigdala non è necessaria per la percezione della paura, spiega Barrett. I suoi neuroni contribuiscono in alcuni casi al processo, ma in realtà non si può dire che siano dedicati a elaborare questa emozione. Più probabilmente essi funzionano come una sentinella delle emozioni, sensibile al contesto, che permette di imparare i meccanismi di pericolo e ricompensa.