Tecnico Cagliari,”bella figura Gigi Riva,educato e riservato come i sardi”
Domani 76 candeline per Gigi Riva, bomber del Cagliari e sempre il miglior marcatore della Nazionale con 35 gol. “L’ho conosciuto, ha ricordato l’allenatore del Cagliari Eusebio Di Francesco durante la conferenza stampa della vigilia della gara con la Sampdoria. Quando io ero giocatore e lui dirigente azzurro.
Un bel personaggio, riservato ed educato. Un po’ come i sardi, anche se lui di nascita non lo è. Sarà un piace domani fargli gli auguri”.
La storia del calcio
Papà e mamma gli morirono presto. Luigi proseguì l’infanzia al collegio dei poveri, poi diventò meccanico a Leggiuno, Varese. Intanto calciatore nel Laveno Mombello e nel Legnano in serie C. Nel ’63 lo prese il Cagliari: mille chilometri da casa. “A quel tempo, in Sardegna al massimo ci mandavano i Carabinieri e i militari in punizione”, ha raccontato una volta Riva. Sull’isola, l’uomo a forma di isola arrivò col magone, neppure l’aereo gli piaceva, le auto veloci invece sì. Quante volte, campione d’Italia, già leggenda vivente e schiva, sarebbe salito sulla sua Dino Ferrari per correre come un pazzo tra le curve a strapiombo fino a Muravera, fino a Costa Rei. Il rumore delle onde, il sole pauroso e la vertigine. Qualcuno ogni tanto gli propone di scrivere insieme un libro di ricordi. Gigi dice no, e sembra di vedergli il sorriso che s’increspa oltre lo schermo e la lontananza.
“Io non avevo che me stesso”. La sua storia, la potenza e la precarietà. Le gambe spezzate due volte, sempre in nazionale, contro Portogallo (perone) e Austria (tibia e perone). Un doppio sacrificio per la patria. I due miliardi che la Juve voleva dare al Cagliari, ma lui rifiutò, il lombardo più sardo di tutti. La sterlina d’oro che ogni Natale gli mandava Angelo Moratti in segno di stima: anche l’Inter, la sua squadra del cuore da bambino, provò in ogni modo ad averlo.
“Avrei voluto che mio padre e mia madre vivessero un po’ di più, per vedere quello che ho combinato”.
Orfani si è sempre ma quanti fratelli, Gigi. I sardi conoscono l’uomo a forma di isola e ne rispettano le alte scogliere pur amandolo di un amore assoluto, come quando lui li guardava fisso negli occhi dal centro del campo, il colletto della maglia chiuso con i lacci, lo stemma dei quattro mori sul petto. Essere una narrazione, il racconto di gloriose gesta e del buio che le accompagna, reclamandone il prezzo. Essere una leggenda, ed essere così soli.