Il desiderio

“Le persone forzate all’isolamento desiderano interazioni sociali in modo simile a quello in cui un affamato si mette in cerca di cibo. – Spiega Rebecca Saxe, John W. Jarve Professor in Scienze cognitive e cerebrali al Mit. E anche coautrice dello studio. – Le nostre scoperte confermano l’idea che le interazioni sociali positive siano un bisogno umano di base. E che la solitudine acuta costituisca uno stato di avversione. Sarebbe, insomma, ciò che motiva le persone a colmare ciò che manca. Dunque in maniera simile a quando abbiamo fame”.

I ricercatori hanno effettuato uno studio basato su un singolo giorno di isolamento. La vista di persone che si divertivano insieme ha attivato, nel cervello dei volontari, le stesse regioni cerebrali della fame. Ovvero come quando a qualcuno che non ha mangiato per tutto il giorno viene mostrata una foto di un piatto di pastasciutta.

I dati della ricerca sono stati pubblicati su Nature Neuroscience con prima firma Livia Tomova dell’università di Cambridge. I dati sono stati raccolti fra 2018 e 2019. Dunque ben prima dell’esplosione della pandemia e delle misure restrittive che hanno profondamente mutilato le nostre esistenze. In realtà lo studio è ispirato a un altro paper del 2016. Questo aveva individuato un cluster di neuroni nel cervello dei topi. Esso stimolava proprio l’interazione sociale dopo una fase di isolamento. Si è scoperto, così, che esso non è che un tassello di un programma ben più ampio. Molti studi negli esseri umani hanno documentato i disagi emotivi e psicologici dell’isolamento. Tuttavia mancavano in gran parte i fondamenti neurologici che questo studio prova invece a verificare.

Il test

“Volevamo vedere se potessimo indurre in modo sperimentale un certo genere di stress social nel contesto del quale potessimo averne il controllo effettivo. Un intervento sull’isolamento sociale più profondo di quanto fosse stato tentato in precedenza”. Hanno partecipato volontari in salute, principalmente studenti del college. Questi sono stati confinati in una stanza senza finestre nel campus del Mit per ben dieci ore. Non hanno potuto usare gli smartphone. Tuttavia nella stanza c’era un pc con cui eventualmente contattare i ricercatori in caso di emergenza. Dovevano riferire i loro passaggi in bagno, per evitare che si incrociassero con altri volontari. Il cibo è stato recapitato alla porta. Un’esperienza molto simile a quelle che abbiamo vissuto durante i lockdown più serrati.

Terminato l’isolamento di dieci ore, ogni partecipante è stato sottoposto a una risonanza magnetica tomografica. Il tutto sempre in isolamento, infilandosi cioè da soli nel macchinario. Senza l’aiuto di tecnici per evitare che gli effetti del periodo di solitudine venissero compromessi. Come analisi di raffronto, i partecipanti ha anche affrontato 10 ore di digiuno. Ovviamente in giorni differenti da quelli dell’isolamento.

Nel corso della scansione finale ai volontari sono state dunque sottoposte immagini di persone intente a relazionarsi. E ancora immagini di cibo e immagini neutre, per esempio di fiori. L’interesse degli scienziati era focalizzato sulla parte del cervello battezzata substantia nigra. Essa è nota anche come sostanza nera di Sommering. Si tratta di una piccola formazione nervosa grigia laminare con significato di nucleo. Essa stabilisce il confine tra piede e segmento del mesencefalo.

Le ragioni di questo interesse specifico? In precedenza quell’area era stata collegata alla voglia di cibo e al desiderio di droghe. Quella piccola zona dovrebbe anche condividere, in termini evoluzionistici, le origini con la regione individuata nei topi nello studio del 2016. Ovvero i nuclei del rafe della colonna mediana, che si erano attivati dopo l’isolamento.

Le conclusioni

Alla vista di foto di persone in piena interazione o divertimento il segnale di attivazione neurologica in quell’area è stato simile a quello prodotto alla vista di foto di cibo dopo la giornata di digiuno. Inoltre, la quantità di attivazione della sostanza nera di Sommering si è dimostrata correlata a quanto più fortemente i pazienti avevano valutato il loro desiderio di cibo o interazioni. In entrambi i casi, insomma, avevano fame di una delle due condizioni. Alimentarsi di sostanze nutritive o di rapporti sociali.

Ovviamente non tutti i volontari hanno reagito allo stesso modo. Un fattore che ha influenzato la risposta cerebrale è stato per esempio i loro normali livelli di solitudine. Da che punto, insomma, partivano. C’era chi, per esempio, ha spiegato di sentirsi cronicamente isolato per mesi prima dello studio. Egli ha mostrato un’attivazione minore della substantia nigra. Ciò rispetto a chi aveva invece documentato una vita sociale particolarmente ricca e soddisfacente. I primi, in qualche modo, avevano meno fame rispetto a quelli catapultati all’improvviso in cattività.

I prossimi passi

Sono state osservate anche altre regioni del cervello. Per esempio la corteccia e l’insieme di nuclei del corpo striato, componente sottocorticale del telencefalo. Fame e isolamento hanno attivato aree distinte anche di quelle regioni. Questo suggerisce dunque che queste regioni cerebrali siano più specializzate nella risposta a differenti tipologie di privazione. Mentre la sostanza nera di Sommering sembrerebbe riassumerle tutte. Essa agirebbe quasi da campanello d’allarme per vari tipi di mancanze, fisiologiche o sociali. Che siano e che condividono dunque la medesima importanza in termini di bisogni umani. Il prossimo passaggio sarà rispondere a molte altre domande. Per esempio, in che modo l’isolamento sociale interviene nell’atteggiamento. O ancora, se i contatti virtuali, per esempio le videocall, possono alleviare questa sensazione. E, se sì, in quali gruppi o fasce d’età