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Quando tutto si volta in tormento, poesia di Némus

L’articolo riprende una citazione, tramutata in poesia, del libro dell’autore sardo Gesuino Némus dal titolo “La teologia del Cinghiale”. 

Nato a Jerzu, nella provincia di Nuoro nel 1958, Gesuino Némus è in realtà lo pseudonimo di Matteo Locci. Con il suo secondo romanzo, I bambini sardi non piangono mai, pubblicato l’anno successivo, ha vinto la XVII edizione del Premio Fedeli.

“Quando scelsi il mio pseudonimo, illustra lo scrittore:  «pensavo al Nemus latino che vuol dire “bosco sacro”. Solo in sardo vuol dire “Nessuno”. L’ambivalenza è molto importante in antropologia. Serve a ricordarmi, nella mia lingua madre, che sono sempre un minuscolo quantico puntino di fronte all’infinità dell’Universo e, leggere il mio eteronimo, mi aiuta molto. Gesuino, invece, l’ho scelto perché di “Mattei”, francamente, ce n’erano già troppi in circolazione, anche se, ai miei tempi, era raro che venisse imposto un nome simile. E, soprattutto, perché volevo essere sardo, ma così sardo, che più sardo non si poteva”.

Dopo innumerevoli mestieri, esordisce nella narrativa nel 2015 con “La teologia del cinghiale”, aggiudicandosi il Premio Campiello nella sezione Opera Prima, arrivando in finale al Premio Bancarella e vincendo il Premio John Fante.

La poesia. cui segue la traduzione, si trova a pagina 56 del romanzo, e, oggi più che mai, per l’appunto, sembrerebbe calzare a pennello con il periodo buio che stiamo vivendo. Come risulta chiaro dal titolo: “Quando tutto si volta in tormento“.

L’autore propone prima la versione in lingua sarda, che recita così:

“Candu tottu si fùrriada a truméntu
Candu tottu ti pàridi unu spunta
I tòccada a fai comént’e cun su enti
A s’ammaccionài 
E a du torrài in cantu.”

In seguito, abbiamo la corrispondente traduzione:

“Quando tutto si tramuta in tormento,
quando tutto ti sembra uno spavento
Bisogna fare come il vento,
rannicchiarsi e trasformarlo in canto”.

La “Teologia del cinghiale” è un libro edito nel 2015 e, grazie alla narrazione fluente e vivace ha riscosso un grande successo tra i lettori, soprattutto grazie al fatto che l’autore alterni la lingua italiana con quella sarda, operando una sorta di resoconto folcloristico, ma al contempo realistico e a tratti ironico. Il racconto è basato sulla descrizione della Sardegna di un tempo, più nello specifico alla fine degli anni ’60, durante cui i primi astronauti sbarcarono sulla Luna, ma la Sardegna continuava a essere un mondo arcaico regolato da leggi ancestrali. Il romanzo è ambientato in un piccolo paese dell’Ogliastra ed è stato premiato per ben cinque volte.

E’ interessante e addirittura avvincente la lettura non solo del libro in sé, ma soprattutto della poesia che ho citato nel primo paragrafo. Le parole di Némus danno quasi sollievo e speranza. Negli ultimi due versi egli invita il lettore, tramite una metafora, a comportarsi come il vento: rannicchiarsi, ma senza piegarsi e spezzarsi e trasformare, appunto, il tormento e lo spavento in canto, ossia alleviandolo.

About Giorgia Ortu

Laureata in Lingue e Culture per la Mediazione Linguistica inglese e spagnola. Amante della scrittura e tirocinante presso Unica Radio

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