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Arèvalo, orgoglio di profugo-scrittore in Sardegna

Il poeta cileno Arèvalo in Sardegna per docufilm Moretti “Santiago, Italia”

“Da profugo sono diventato scrittore, sono diventato un operatore culturale e questo è un esempio di come un profugo, se gli dai la possibilità, può diventare qualcuno e può contribuire a dare un valore aggiunto al luogo dove sta”. Così il poeta cileno Antonio Arèvalo ospite al Filmfestival “Terre di confine”, ad Asuni, dopo la proiezione nel weekend del documentario “Santiago, Italia” di Nanni Moretti. Un film in cui numerosi testimoni raccontano attimi drammatici, quelli della presa di potere da parte di Pinochet e la morte di Salvador Allende, la dittatura e la fuga nell’ambasciata italiana.

Nel 1973 Arèvalo, a soli 14 anni, era divenuto la mascotte della Brigata di pittura muraria, con la quale usciva di notte per pitturare le strade. Militante della gioventù comunista, andava a lanciare volantini di protesta. Venne scoperto e si rifugiò all’ambasciata italiana per poi vedere la sua vita catapultata dall’altra parte dell’oceano. “Vivere dentro l’ambasciata è stata un’esperienza fortissima – ha raccontato lo scrittore – Arrivato in Italia, però, non volevo far sapere che ero profugo. Mi vergognavo di dirlo. Oggi ne vado fiero. Sono cresciuto in Italia leggendo tutto quello che potevo, parlando per citazioni perché dovevo impormi”.

Dal passato al presente, con il dramma nel Mediterraneo. “A volte mi vedo nei panni della gente che oggi arriva nei gommoni. Io ho vissuto un’Italia accogliente, era un’epoca meravigliosa. In confronto a ciò che succede ora la mia storia è nulla. Mi sento un privilegiato. Ma ho preso il meglio che ho avuto dall’Italia e ho cercato di restituirlo, perché mi sento responsabile del luogo che mi accoglie, sia che mi trovi a Roma, Milano o Venezia”. Arèvalo ha presentato il suo libro “Le Terre di nessuno”, titolo indicativo di una forte correlazione con il tema del festival cinematografico di Asuni, anche quest’anno diretto da Marco Antonio Pani. Un libro che sintetizza, attraverso una serie di poesie scritte tra il 1980 e il 2016, l’esperienza umana e artistica dell’autore, ormai riconosciuto tra i più attivi sostenitori e promotori della creatività latinoamericana in Europa.

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