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Le creature de I Santissimi in mostra all’Exmà di Cagliari

Chiuderà il 16 settembre l’impressionante mostra di installazioni e sculture de I Santissimi ospitata al centro culturale comunale Exmà di Cagliari.

Il duo sardo, composto da Sara Renzetti e Antonello Serra, è attivo dal 2009 e ha fatto conoscere il suo lavoro soprattutto in Italia e all’estero. I lavori de I Santissimi vengono esposti per la prima volta in Sardegna grazie a un progetto curato da Simona Campus: un percorso espositivo pensato per essere il più possibile interattivo con il visitatore, per mostrare un segno e lasciarne un altro altrettanto forte.

La mostra ha avuto anche grande impatto sui social network con l’hashtag #santissimiexma, è stata oggetto di un contest fotografico e ha fatto molto parlare di sé.

Sara Renzetti e Antonello Serra hanno iniziato il loro iter artistico specializzandosi in una scultura iper realistica che però travalica il senso stesso della scultura e del corpo rappresentato per veicolare messaggi contemporanei importanti come l’alienazione, l’incomunicabilità, l’abbandono. Non una mostra di corpi quindi, né una ricerca estetica volta alla perfezione anatomica a muovere i due artisti sardi ma la volontà di affrontare temi attuali e scomodi come la migrazione e la vita stessa.

Tanti i riferimenti metabolizzati e riproposti in chiave originale: dalle maschere sepolcrali del Fayyum fino alla fotografia funebre della fine dell’Ottocento. E ancora la suggestione delle wunderkammer nella serie che ricorda gli homunculi di alchemica memoria. I Santissimi fissano nelle loro straordinarie creazioni in silicone e resina un luogo sospeso tra la vita e la morte, dove il soffio vitale si è spento ma alberga comunque una scintilla che fa percepire forza e dinamismo. Una sorta di estasi meditativa che è anche quella degli artisti a lavoro, concentrati sul particolare, artigiani della materia, svuotati del ruolo di registi per divenire manovali. Il corpo è il centro di questa riflessione ampia e profonda che abbraccia l’uomo e la sua transitorietà, la condizione precaria della materia che diventa da organica a inorganica confondendo carne e anima in un unico abbraccio.
L’emozione nasce già dall’esterno dell’edificio quando l’installazione site specific ‘Rosa Rosae Rosae’ si manifesta interagendo con l’architettura dell’Exmà, mattatoio cittadino fino agli anni ’60, lasciando fuoriuscire l’allegorico frutto del macello a stento contenuto. L’opera entra nel contesto urbano, attrae, chiama lo spettatore affascinandolo senza indurlo a commettere l’errore di un facile commento, ispirata ad una frase di Gandhi che dice “un uomo può uccidere un fiore, due fiori, tre, ma non può contenere la primavera”.

Il pubblico è invitato ad agire sulle opere passando le mani bagnate dall’acqua contenuta alla base delle cabine e mettere più in luce i dettagli anatomici e l’espressione del viso resi velati dal plexiglass opaco.

Tutta la mostra gioca sull’esibizione, mai fine a se stessa, e sulla discrezione, in perfetto equilibrio, con un riserbo sacro per la figura umana, per la sua finitezza e per tutto ciò che ci accomuna.

L’opera ‘Epave’ riporta subito al quotidiano: ancora una volta senza indulgere nel sentimento facile, I Santissimi ci offrono la loro visione del tema contemporaneo per eccellenza: la migrazione. Nella didascalia le coordinate geografiche di Lampedusa, centro di questo mondo di incontro/scontro, di comunicazione/alienazione e di tutti i contrasti.

Dalla contemporaneità torniamo indietro nel tempo, all’insolito, al magico. Sculture di piccole dimensioni intrappolate come fossili nell’ambra raccontano una storia di cambiamento, di trasmutazione di sapore alchemico, e sottolineano, anche grazie alla maestria indiscutibile della lavorazione, la loro fisicità fissata nel tempo e nello spazio. E’ l’urgenza della materia corpo, dell’organico, del finito che ritroviamo nella galleria di escrementi umani raccolti e fissati ad aeternum come atto finale di un lungo esperimento con soggetti che volontariamente hanno partecipato al processo artistico. Lo straordinario del quotidiano, ancora una volta discretamente esposto e non esibito alla ricerca dello scandalo. Il percorso espositivo prosegue in un crescendo di emozioni infestato da mosche di silicone realizzate con perizia certosina.

Mosche che si posano sui ritratti dei due artisti, la cui tensione è quasi palpabile, si posano sui muri e ci guidano in volo fino all’ultima installazione, quella che sancisce il definitivo, ineluttabile passaggio dall’organico all’inorganico con l’opera simbolicamente intitolata ‘Mom’, madre. Una madre fetale e amniotica a cui ricongiungersi dopo esserne stati generati, una mutazione energetica che abbraccia corpo e spirito in una forma che conserva la carnalità tutta terrena per divenire qualcosa di diverso, di misterioso, di nuovo.

I Santissimi, a partire dal nome scelto per questo sodalizio che gioca con il sacro e il profano, portano la sfida della comunicazione artistica su un livello più alto, sganciato dalle regole del semplice vedere per concentrarsi sul sentire, intrappolando l’urgenza della carne e la sfuggente santità dell’anima in un dialogo silente ma vibrante.

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